Bambini in cerchio che si passano biglietti, ragazzi in campo che tirano calci a un pallone, adulti al tavolo che maneggiano fiches e carte, anziani pronti a urlare “bingo” dopo aver completato le proprie schede.
Che cosa li accomuna? Il gioco. All’interno delle azioni sopra citate possiamo riscontrare differenti componenti: divertimento, allegria, tensione, concentrazione, regole. Giocare include infatti moltissime sfaccettature, comportamenti ed emozioni.
Il gioco si connota per la sua componente ricreativa, ossia un momento di svago, stacco e rigenerazione dalle fatiche. Ma la componente ricreativa del gioco, oltre che in termini di pausa, può essere letta nel senso di “ri-creazione”, ovvero come momento in cui è possibile creare pensieri e azioni nuove. Il gioco è infatti anche terreno di apprendimento e sperimentazione, e pertanto luogo in cui vengono fondate nuove competenze. Attraverso il gioco la persona impara a conoscere il mondo, a sperimentare il valore delle regole, a stare con gli altri, a gestire le proprie emozioni e a mettere alla prova le proprie convinzioni sulle cose e sugli altri.
Se pensiamo a un adulto è evidente come la dimensione del gioco sia spesso soppiantata dalla dimensione del dovere: “prima il dovere e poi il piacere”, “il gioco è bello se dura poco”. Sono tanti i modi di dire che abituano a sacrificare il piacere dell’apprendimento a favore del dovere e del sacrificio. Invece il gioco ha due funzioni, intrecciate e sovrapposte: una ludica e una di apprendimento. Giocare è una palestra relazionale; giocando impariamo a tollerare le emozioni negative e le frustrazioni derivanti, il tutto su un piano protetto, ludico e divertente. Nella dimensione del “far finta” si provano emozioni “vere” che vanno a influenzare aspetti profondi della propria personalità.
Per questo motivo, utilizzare il gioco nella formazione è una strategia indispensabile perché significa rappresentare in modo semplificato fenomeni reali complessi e ricchi di variabili. Come disse Confucio “se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio comprendo”.
Per concludere: giocare non è una regressione verso uno stato infantile, bensì una progressione verso uno stato di conoscenza più profondo.
Anche in azienda si può -e si deve- giocare!